Le strade delle campagne del Punjab, nel nord-ovest dell'India, sono tutte simili. A volte ci si perde.
Collegano piccoli paesi, qua e là ci sono fabbriche di mattoni e villaggi anonimi che sbucano fra i campi di patate.
Ma quel giorno avevamo decretato che un villaggio indiano, uno fra i tanti, non sarebbe più stato lo stesso.
Il villaggio sembrava fosse stato appoggiato lì da qualcuno, un insieme di capanne di paglia gialla come il sole che si stagliavano sul verde delle coltivazioni.
Quando abbiamo fermato l'auto, anche loro hanno interrotto tutte le loro attività.
Come capita spesso in questi casi, gli uomini del villaggio sono fuori per lavoro e lasciano i bambini con qualche donna a controllarli.
Tanti occhi umidi ci stavano guardando, mentre noi stavamo cercando nelle nostre tasche qualche caramella da dargli come omaggio.
Il primo contatto è sempre il più delicato
Parlavano una variante di hindi.
In India sono riconosciute dalla Costituzione 22 lingue ufficiali e quasi 2000 dialetti.
Capirsi, in questo Paese grande come un continente, non è per niente semplice.
Gli abitanti buttano l'occhio incerto all'interno della nostra auto.
Ancora qualche attimo di tensione e poi arriva l'ok.
Siamo stati accettati.
Apro la portiera e l'aria frizzante del Punjab in inverno mi rassicura.
Cammino attorno alla macchina finché il mio occhio cade incredulo su un enorme formicaio posto esattamente di fronte all'ingresso del villaggio indiano.
Ancora più inorridita, ho constatato che i bambini ci camminavano sopra a piedi scalzi senza preoccuparsi minimamente dei miliardi di animali che sotto la terra, proprio in corrispondenza dei loro piedini impolverati, stavano freneticamente lavorando.
Cercando di scacciare questa prima immagine dalle nostre menti, abbiamo cominciato a percorrere l'unica strada del villaggio.
In realtà si trattava di una strada molto corta, con qualche falcata l'avremmo coperta in un paio di minuti.
Tuttavia, le capanne erano talmente affascinanti che non abbiamo potuto fare a meno di procedere con la velocità di un bradipo addormentato.
Il nostro occhio fotografico ha sempre la meglio, siamo avidi di dettagli, con le nostre foto pensiamo di poterli immortalare per sempre.
Un villaggio indiano di paglia e fango
Le case erano fatte di paglia, sia i tetti che le pareti.
Era un popolo di sedentari.
Dentro le capanne solo poche cose, un giaciglio, qualche neonato adagiato qua e là.
Attratti da noi ma sempre distanti, se cercavi di fotografarli erano restii.
Non avevano il permesso di parlare con altri uomini.
Ragazzi, non ho mai sorriso così tanto come durante questo viaggio in India.
Ma il sorriso rassicura, crea empatia, infonde coraggio.
E così si sono lasciate andare, hanno abbassato il velo, restando comunque sempre molto caute.
Ho provato ammirazione e dispiacere per quella ragazza, deve essere sicuramente complicata la situazione di una donna incinta che deve vivere in un villaggio dove mancano i beni di prima necessità, compresa acqua pulita.
Il nostro autista ci ha spiegato che la gente del posto sta alla larga dai villaggi malandati.
Chissà di cosa avranno paura poi.
Del sorriso di un bambino?
Di fronte ad ogni capanna c'era una zona completamente spianata che costituiva l'angolo cottura, con due buchi creati in un pezzo di fango sopraelevato.
Avevo già letto di questa pratica in un libro che parlava dei villaggi Pashtun, ma non mi era mai capitato di scontrarmi con una realtà così forte dal vivo.
Come già detto, la mancanza di beni e servizi di prima necessità è sconcertante.
Quindi come fanno a fare il fuoco per scaldare il cibo e se stessi?
Come combustibile utilizzano delle palle di sterco e paglia.
Le attaccano alle pareti delle case quando sono fresche, per farle essiccare al sole, e quando si staccano da sole significa che sono pronte per essere utilizzate come combustibile.
La pratica di essiccazione fa sì che le palle di sterco, chiamate Pathi, perdano il tanfo e siano poi utilizzabili.
É un'immagine forte per noi.
Dovremmo dare più peso ad un semplice gesto come quello di accendere un accendino, o quello di spostare su "Aperto" la levetta del gas in cucina quando dobbiamo cuocere la pasta.
Gli occhi vispi di tutti quei bambini che ci fissavano.
Avrei dato qualsiasi cosa per poter conoscere i loro pensieri e loro sicuramente avrebbero fatto lo stesso per poter sapere qualcosa di più su di noi.
Il rapporto con lo straniero
Ci eravamo completamente persi all'interno di questa macchina del tempo.
Mentre stavamo tornando verso l'auto, però, hanno provato a chiederci dei soldi, cosa che invece non era successa in altri villaggi.
Non c'è niente di più sbagliato.
Noi non possiamo sapere cosa faranno con quel denaro, potrebbero utilizzarlo anche per drogarsi o acquistare armi.
Se vogliamo davvero fare un gesto utile, regaliamo del cibo o dei beni di prima necessità, che siano davvero utili e pronti all'uso.
Così, se ne hanno seriamente bisogno li accetteranno volentieri, in caso contrario avremo fatto bene a non dare denaro.
Prima di risalire in macchina, cercando di evitare nuovamente il mostruoso formicaio all'ingresso, ho dato un'ultima ed intensa occhiata al villaggio ed ai suoi abitanti.
Per un fattore dovuto esclusivamente al caso, io ero nata da una parte di quel formicaio e loro dall'altra.
Quando mi capita di conoscere più da vicino queste realtà, sono combattuta tra il fascino di un'era che noi non abbiamo mai vissuto e il dispiacere perchè loro probabilmente non consoceranno mai il mondo in cui viviamo noi.
Chiusa la portiera abbiamo chiuso fuori anche la realtà di questo villaggio indiano, pronti per tante altre avventure in un Paese dai mille volti.
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