Il fatto che viaggiare renda felici è diventato quasi una verità universale.
Rappresenta la speranza di una vita intensa, fuori da una routine che generalmente ci fa provare poche emozioni.
Tuttavia la società, nella sua globalità, fa ancora fatica ad accettare che esistano persone che viaggiano tanto, che desiderano farlo o, addirittura, che basano la loro vita ed il loro lavoro su un ufficio che possono spostare nel mondo.
Invidia, risentimento, paura, cultura o scetticismo accompagnano da sempre questo ambito.
Per fortuna tanti pensano che viaggiare renda felici
Abbracciare tutto il mondo richiede una mentalità molto aperta.
Significa accettare altre culture, altre tradizioni, persone diverse da noi da cui si può imparare molto, soprattutto dal punto di vista del rapporto umano.
Viaggiare è conoscere.
Più si conosce e più si possono formulare pensieri ed opinioni articolate.
Anche se scegliere una vita che comprende il continuo viaggiare spaventa, presenta una strada a volte lastricata di incertezze, può portare alla libertà.
E la libertà è importante perché, anche se tentiamo di pensarci il meno possibile, si vive una volta sola.
Finita questa vita poi non c’è più niente.
Quindi perché limitarsi?
Cerchiamo di fare quello che ci piace e, se viaggiare ci rende felici, allora facciamolo!
Nella società si creano gerarchie, giochi di potere, classi sociali, posizioni lavorative, ma la verità è che siamo tutti uguali.
Il fine ultimo a cui tende l’umanità è la felicità, o meglio, l’assenza di sofferenza.
Quindi non si deve invidiare chi riesce a viaggiare tanto, piuttosto chiediamoci come ha fatto per poterlo fare a nostra volta.
Siamo noi responsabili del nostro modo di vivere.
Decidiamo noi se vivere bene o vivere male.
Qualcuno dice che viaggiare renda immorali
Abbiamo già detto che viaggiando si conoscono culture nuove, si possono valutare tanti sistemi e la mente si apre sempre di più.
C’è chi dice che questo sia un problema.
La sede canadese dell’Insead (The Business for the World) ha svolto uno studio coinvolgendo svariate centinaia di studenti, in quanto un articolo del Wall Street Journal aveva asserito che nelle università americane gli studenti stranieri imbrogliavano cinque volte di più rispetto agli studenti non stranieri.
Il dubbio era se, il fatto di viaggiare di più, li avesse resi incuranti delle regole, incapaci di accettare un imperativo assoluto da rispettare. Questo perché concepiscono le regole come qualcosa di relativo, figlie di una società o di un periodo storico precisi.
Venendo a conoscenza di diversi modi di vivere allora ognuno potrebbe creare da sé la propria morale, incurante di quelli che sono gli imperativi di buona condotta.
Il quotidiano El País, uno dei primi ad aver toccato l’argomento, ha giustamente notato che ci si dovrebbe fare delle domande se la soluzione è mantenere il popolo nell’ignoranza affinché si comporti meglio.
Se così fosse, noi viaggiatori saremmo tutti persone da rinchiudere!
E se invece viaggiare ci rendesse migliori?
Secondo la nostra personale opinione, tutti possono agire secondo coscienza in modo morale, sia che viaggino sia che vivano sempre nello stesso luogo.
É la persona singola a decidere come comportarsi, non penso che sia l’ambiente esterno ad avere un’influenza così decisiva.
Anzi, conoscere nuove culture può aiutarci ad applicare principi che migliorano il nostro stile di vita, che ci consentono di osservare gli avvenimenti da un punto di vista più ampio.
A proposito di azioni che possiamo compiere, ho letto una frase molto bella di un libro che ho amato e che mi ha aiutata a cambiare opinione sul modo in cui affrontavo tanti aspetti della mia vita, si chiama Il Libro della Gioia. É il racconto di un incontro di pochi giorni in India avvenuto fra il Dalai Lama, leader politico e spirituale del popolo tibetano, e l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, anch’esso vincitore del premio Nobel per la Pace. In questo discorso affrontano il problema della ricerca della gioia in senso più ampio, analizzando metodi, paure ed ostacoli, che loro stessi hanno imparato dalle loro esperienze.
Ogni giorno e ogni momento, possiamo creare e ricreare la nostra vita e la qualità stessa della vita che viviamo su questo pianeta: è il potere che ci è stato dato1
Noi ogni giorno possiamo decidere come comportarci e come migliorare la nostra vita.
Se riusciamo a fare ciò che ci piace, creando uno stato mentale positivo, possiamo trovare la vera gioia. L’arcivescovo Tutu addirittura parla della gioia come di qualcosa di più esteso rispetto alla felicità, perché la gioia non dipende da circostanze esterne, ma è uno stato che possiamo creare dentro di noi2.
Probabilmente non riusciremo mai a raggiungere uno stadio così elevato di pace tuttavia, iniziare perseguendo la felicità, è un dovere che fa capo a tutti.
Quindi non dobbiamo farci frenare dalle sentenze della società se pensiamo che viaggiare ci renda felici.
E poi, in fondo siamo tutti erranti.
Siamo tutti grandi o piccoli viaggiatori.
Un proverbio tibetano dice:
Ovunque hai un amico, quella è la tua patria, e ovunque sei amato, quella è la tua casa.
Chi di noi non ha almeno un amico che abita in un’altra città?
1 Gyatso Tenzin (Dalai Lama), Desmond Tutu, Douglas Abrams, Il Libro della Gioia, Garzanti Libri, 2016, p. 9.
2 Gyatso Tenzin (Dalai Lama), Desmond Tutu, Douglas Abrams, op.cit., p. 13.
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