“Lo vuoi un funghetto?” chiede il tipo con indosso solo un costume e gli occhiali da sole. I capelli biondi tagliati corti. L’accento sembra americano e sembra che si trovi su quel lembo di terra da qualche decennio.
Cammino lungo l’unica via, guardo i bar costruiti dentro le chiglie delle navi e sulle palafitte, con pali di legno storti e sarong colorati appesi alle pareti. Mi sembra di essere tornata negli anni ’70, anche se purtroppo quegli anni non li ho mai visti.
Ma queste persone me li evocano.
Stravaccati sui cuscini, parlano di sostanze che in Thailandia sono legali. Della marijuana sono sicura, dei funghetti un po’ meno. Ma li vendono dappertutto alla luce del sole, quindi immagino che siano legali anche loro.
E questi tizi hanno lo sguardo perso, stanno vedendo qualcosa che io non vedo.
Hanno tutti gli occhiali, il cappello calato sui capelli lunghi, i tatuaggi che parlando di viaggi, di avventure e di vita. Mi piace pensare che siano arrivati qui quando la Thailandia non era ancora turistica, e che gli sia piaciuta per questo.
“Ticket to the Moon” leggo su un cartello in un bar poco più avanti.
“Hippieness” leggo oltre.
Questa mattina doveva essere tranquilla. Un giro in barca, le famose “long boat”, di circa cinque minuti per arrivare a Railay Beach da Ao Nang Beach. L’asciugamano steso sotto una pianta. Una passeggiata e un po’ di meditazione.
Ma questa spiaggia è collegata a un’altra e tra le due c’è questo villaggio metà pirata e metà hippie.
Perché non farci un giro? Da fare, prendere il sole.
I primi locali sono turistici, perché è qui che si fermano tutti. Ma se vai avanti vedi le strutture cambiare, diventare più decadenti insieme alle vite di coloro che le tengono aperte.
Ma chi può biasimarli? Chi non si fermerebbe a vivere su una spiaggia che puoi raggiungere solo con la barca? E solo a determinati orari?
Quando la tratta si interrompe, qui inizia la festa.
Quartieri sociali, bar giamaicani, covi di bucanieri. E pensare che qui ci si fermavano davvero, i bucanieri!
Sceglievano queste calette perché le rocce riparavano la vista delle loro navi ai nemici. Quella dei pirati, in Thailandia, è una storia a cui non è stata ancora messa una parola fine. Ma a me piace immaginare i pirati antichi, quelli che solcavano i mari con i galeoni e che approdavano in questi anfratti in cui la natura era ancora incontaminata.
Chissà cosa avrebbero pensato se avessero saputo che qualche secolo dopo la X sulla mappa avrebbe indicato una rivendita di funghetti allucinogeni.
Forse la cosa li avrebbe divertiti.
Ma è ancora giorno e di prendere il sole non se ne parla (tantomeno di provare i funghetti).
Qui le attrazioni non mancano. Un bel sentiero che costeggia la costa opposta a Railay Beach conduce a una laguna, secondo ciò che dice la mappa posizionata di fronte a uno dei rari e costosissimi resort. Per arrivarci basta percorrere il lungo mare e un piccolo pezzetto tratteggiato.
Peccato che quel pezzetto tratteggiato è la scalata di una montagna, con tanto di corde infangate che penzolano nella gola.
E io ho le infradito.
Cazzo, perché ho sempre le infradito quando si tratta di scalare montagne?
Non è certo la prima volta e non sono così ingenua da pensare che sarà anche l’ultima. Prima il Messico, poi la Thailandia. Chissà dove sarà la prossima montagna. Ma nel fare questo una nota di merito va alle Havaianas, infradito progettate per ogni superficie.
E la laguna?
Completamente secca, una distesa verde. Con le mani e il sedere sporco di fango per essermi arrampicata in mezzo alle rocce nella foresta, mi godo la distesa di palme sottostante dal viewpoint e poi, non senza imprecazioni, scendo dalla gola da cui sono salita e torno verso la spiaggia.
E mentre ripasso nel paesello il tizio dei funghetti mi dice che lui l’ha fatto quella mattina. Il bagno nella laguna.
AsiaNote dalla stradaThailandia
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