A Bangkok ci sono mercati di tutto.
Principalmente sono di cibo, ma si trovano anche quelli di oggettistica, di antiquariato e persino di amuleti.
Ci sono mercati lungo le vie, dentro i capannoni e sulle barche. Ci sono mercati anche sulle rotaie dei treni. Sono assurdi perché erano preesistenti alle innovazioni tecnologiche e ancora oggi non vogliono saperne di andarsene.
Questi mercati li vedi, li senti.
Bangkok è un insieme di odori indefiniti. Un passo prima senti il profumo di Pad Thai, il passo dopo quello di una pianta di Frangipani e quello dopo ancora il tanfo di una fogna a cielo aperto. Senti odore di Durian, di pesce essiccato, di crema per i massaggi.
Sono odori pungenti che ti entrano nel naso, ti entrano nell’anima.
E questi odori ti accompagnano mentre cerchi il prossimo baracchino in cui mangiare sulla sponda di un canale, mentre contratti per un amuleto con un anziano che non ti sa spiegare perché tintinna e mentre entri dentro un tempio insieme a un gruppo di monaci che si scatta foto con il cellulare.
Bangkok è caldo umido, asfissiante. Sale da quell’asfalto che sembra una graticola, tra le moto di piccola cilindrata con lo scarico aperto. Cerchi di tirare ossigeno nei polmoni, ma è una lotta impari. Tra qualche metro dovrai fermarti per prendere aria, in un bagno di sudore anche se indossi vestiti di cotone.
Penso che Bangkok sia il posto in cui arrivi quando la vita ti sta crollando addosso.
L’energia di questa città è molto diversa da quella che ho sentito in India. Quella era caotica, questa è pacifica. Bangkok ti calma, ti aiuta a vedere più lucidamente la tua vita e lo fa in un tempio, dandoti la risposta con un bigliettino, dopo che hai giocato a far cadere un bastoncino con un numero scritto sopra in mezzo a tanti altri.
Quel numero è la tua profezia, solo la tua. Te lo posso assicurare, a me è successo.
Ti dice cosa c’è di sbagliato e cosa dovresti fare per aggiustare la tua vita. Farlo dipende poi da te.
Puoi anche chiedere tu stesso qualcosa.
Lo scrivi su una foglia dorata dell’albero di Bodhi sul cui retro ci sono simboli incomprensibili ma esotici e la appendi nel giardino di un tempio. Ci penserà il vento a trasportare la tua preghiera.
Bangkok una volta aveva più templi che case abitate e anche oggi ne puoi contare tanti. Fuori da uno, dentro in un altro. E ti trovi davanti a una gigantesca statua di Buddha dorata, anche se di Buddha d’oro ce n’è solo uno.
E qui ti inchini tre volte, congiungendo le mani prima all’altezza del cuore e dopo del terzo occhio. Poi ti siedi e mediti seguendo un metodo che ti ha insegnato in guru indiano. Ma poco importa. C’è chi dice che buddismo e induismo siano collegati. C’è chi dice che basti sedersi in silenzio e prima o poi qualcosa accadrà.
Bangkok è un insieme di grattacieli grigi, in strade grigie, percorse da auto anonime. Si distinguono soltanto i tuk tuk con i motori elaborati. Questa è una delle prime immagini che ti colpirà arrivando dall’aeroporto.
Ma non rattristarti, perché Bangkok è anche una palafitta di legno con campanelline ai bordi del tetto, che si affaccia su un fiume ameno dove le barche sono decorate da nastri colorati e una gigantesca statua di Buddha emerge dalla terra.
E tra questi due mondi? C’è una via caotica con insegne al neon nella quale i venditori ambulanti propongono scorpioni e ragni fritti a turisti occidentali, mentre questi ultimi si godono una canna guardando un coccodrillo scuoiato e appeso all’ennesima bancarella.
E infine, Bangkok è il regno dove coesistono gli esseri più sereni della terra: monaci e gatti.
Gatti e thailandesi penso si capiscano, forse perché la lingua dei secondi a orecchie straniere assomiglia molto al miagolio dei primi.
Ma se è vero che i gatti stanno dove si sta bene, allora possiamo dire che a Bangkok si sta veramente bene.
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