“Cos’è un Bigfoot?”
“No, è un hippie!”
“Perché sta girando al buio di notte?”
“Alla sua epoca non c’erano i cellulari con le torce”
“Meno male che non è nudo!”

Dopo il tramonto, gli hippie escono.
Camminano sui cigli delle strade, di fronte alle chiglie delle navi arenate, nella giungla.
Dicevano che qui c’era ancora la Thailandia degli anni ‘70. È così, qui c’è ancora la Thailandia degli anni ‘70.
A Koh Phayam, una piccola isola che sulla mappa sembra più in Myanmar che in Thailandia, ci si sposta solo in motorino, gli americani cantano canzoni country sotto le palme alla luce della luna, gli uomini hanno i capelli lunghi e le donne i capelli corti, ci sono ancora le cabine telefoniche e le pompe di benzina che sembrano jukebox.
Arrivare su quest’isola è stato un sogno perduto che si è inaspettatamente realizzato. Soprattutto se arrivi da più giù, dalla zona di Phuket o di Krabi, dove il turismo di massa che ha deturpato la Thailandia ha raggiunto la sua massima esasperazione.
Su questa isola, che conta poche centinaia di abitanti locali e poche decine di visitatori, il mood è completamente diverso.

Appena arrivi prendi il motorino al porto, perché è lì che ci sono i meccanici. Il noleggio costa 200 bath al giorno. Imbocchi una delle poche strade asfaltare, perché le altre nella giungla sono sterrate.
E qui parte il trip.
Ogni tanto, in mezzo alle palme, vedi un bungalow o un ristorantino, rigorosamente in legno, dalle forme un po’ cadenti, con ninnoli colorati che penzolano provenienti da tutto il mondo, e dentro gente mezza nuda che ti saluta sorridendo.
È tutto talmente bello che ti viene la pelle d’oca.
I visitatori che incontrerai si dividono in due categorie: veri hippie pensionati e giovani nomadi digitali, che poi non sono altro che gli hippie degli anni 2000.
E tutti convivono pacificamente.
Perché i nomadi digitali in viaggio cercano esattamente il contrario di quello che cercano i turisti.
Cercano un posto silenzioso, bello, dove la mattina la vita inizi presto e la notte si vada a letto altrettanto presto, dove nessuno ti guarda, ti giudica, dove fare yoga, suonare la chitarra, cantare o giocare a frisbee.

La giornata del nomade digitale qui è la migliore che si possa desiderare.
Alla mattina ti alzi all’alba, magari fai un po’ di meditazione e di yoga, e poi ti fai una passeggiata su una spiaggia dove se va bene incontri un paio di persone. Il sole è ancora basso, filtra tra le palme.
Poi fai colazione, i locali aprono tutti presto. E mattina di lavoro di fronte all’oceano.
Molti si chiedono cosa permette di fare il nomadismo digitale…
Permette di avere più tempo da dedicare alle proprie passioni e interessi.
Di esserci per la propria famiglia.
Di viaggiare.
Di lavorare quando si è più produttivi.
Di creare il proprio ufficio dei sogni.
E di surfare quando arrivano le onde.
Perché qui si fa anche surf. E mica su ondine sfigate, quando è stagione qui ci fanno pure i contest. Ed è bellissimo vedere tutti questi ragazzi con i capelli lunghi e la pelle abbronzata che chiudono i computer e vanno a cavalcare le onde finché gli va, finché ce n’è.
E poi niente, nel tempo libero prendi il motorino ed esplori l’isola.
Ti capiterà di passare di fianco a casette in legno dove artisti del macramè vendono le loro creazioni e di addentrarti su sentieri sterrati per sbucare in qualche caletta dove vedere il tramonto.
Nelle notti di luna piena i full moon party animano l’isola e le navi pirata ospitano dj che suonano per chi si vuole davvero sentire uno dei pochi romantici rimasti su questa terra.

Questo è il posto per staccare. Staccare dalla società, dalle convenzioni, dalla gente che si sente continuamente in diritto di dirti come devi vivere basandosi sul proprio punto di vista. È il posto per essere esattamente ciò che si è.
Perché qui se giri in costume da bagno, nessuno ti dice niente. Se sei tatuato, nessuno ti dice niente. Se sei stonato, nessuno ti dice niente.
O meglio, ti dirà qualcosa solo per scoprire chi sei e quale meraviglioso percorso ti ha portato fin qui. Qui, dove resiste ancora la Thailandia degli anni ’70.

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